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venerdì 6 febbraio 2009

MESAGNE PERCORSI DI LEGALITA'

Mesagne: percorsi di legalità

Intervento integrale del capogruppo di A Sinistra/Prc in Consiglio Comunale, Pompeo Molfetta, sui percorsi di legalità contro la recrudescenza criminale.





Mesagne: percorsi di legalità

Cercherò di circoscrivere il mio intervento entro gli ambiti che mi competono per il ruolo istituzionale che esercito non prima di aver rappresentato la necessità che si trovi , prima o poi, un luogo terzo, in cui la città abbia il modo di confrontarsi direttamente con la storia di quegli anni. Sulle vicende legate alla SCU, alla 4° mafia infatti è stata scritta una verità giudiziaria che passa attraverso i processi espletati col pronunciamento di sentenze già passate in giudicato. C’è un documento importante elaborato dall’osservatorio sugli aspetti socio-ambientali e culturali del fenomeno, c’è inoltre tanta storiografia di basso profilo e tante credenze che quella realtà talvolta mistificano. Non c’è stata, finora, una efficace disamina storica che consenta alla città la piena elaborazione, il superamento di una vicenda che ha profondamente segnato la coscienza civile del suo popolo e che ha ancora ferite aperte e sanguinanti in tante famiglie e nelle tante inutili croci che si ammucchiarono in quel tempo nel cimitero. Questo passaggio credo sia necessario e non più derogabile per evitare che si verifichi, se non si sia già verificato, un frettoloso e pericoloso processo di rimozione collettiva o che si sviluppi, soprattutto nei giovani, una sorta di allegoria della storia. Bisogna fare i conti con la fredda sequenza dei fatti di cronaca di allora Bisogna fare i conti con i ricordi sotterrati nei più remoti anfratti della memoria : con l’immagine per es. di quel pomeriggio d’un giorno d’estate sul sagrato della chiesa di S.Maria. Mai visti tanti ragazzi ad un funerale. Una lunga interminabile processione per onorare la morte di un giovane rampollo di una famiglia in odor di mafia, morto tragicamente in un incidente stradale con la sua moto. Nonostante uno straordinario dispiegamento di forze dell’ordine, di poliziotti mimetizzati fra la folla, appostati con potenti teleobiettivi sui tetti dei palazzi vicini, i ragazzi se ne stavano silenziosi e fieri sul sagrato in atto di palese sfida verso chiunque avesse mai osato turbare la sacralità di quel momento, ostili verso quella parte della città che si nascondeva, che aveva paura. Mai visti tanti ragazzi ad un funerale. Per ragioni di ordine pubblico, in deroga alle regole vigenti, fu concesso alla famiglia di portare a spalla il feretro dalla chiesa fino al cimitero. Per “loro” fu un lungo e commovente tappeto di fiori bianchi, per me fu come un atto definitivo di resa dello stato.

Bisognerà prima o poi ripartire da lì per cercare di capire come fu possibile che si verificasse tutto ciò. Come fu possibile in mezzo a noi, fra le nostre famiglie, nelle nostre case, nelle nostre piazze. Come fu possibile che tanti giovani, poco più che ragazzi, con cui avevamo magari tirato calci al pallone nei campi di periferia, con cui avevamo fatto le scuole elementari, con cui magari avevamo giocato a carte sui marciapiedi delle strade ad un certo punto decidessero di consegnare a frotte le loro vite, i loro destini ad un potere criminale spietato e sanguinario.

Abbiamo fatto bene ad avviare questo percorso. Certamente sono improponibili confronti e raffronti col passato. Non abbiamo alcun elemento di valutazione certo sugli accadimenti delle ultime settimane. Cogliamo con favore le rassicurazioni che ci giungono dal prefetto dagli organi di polizia, ma quando uno ha combattuto con un tumore maligno è ben difficile che non si spaventi anche di fronte al sintomo più banale ed insignificante, ammesso e non concesso che siano insignificanti gli atti intimidatori di cui sono stati vittima i rappresentanti di Libera e dell’associazione Anti-Raket. Abbiamo fatto bene … così che ognuno si assuma per tempo le proprie responsabilità e nessuno abbia più a dire ma io non sapevo e se sapevo non capivo.

Per chi vive il suo impegno sociale in una esperienza politica i percorsi di legalità passano prima di tutto attraverso la difesa ed il rafforzamento delle istituzioni democratiche e della Costituzione. Gli italiani mediamente non hanno un alto senso dello Stato. Abbiamo nel nostro dna una tensione anarcoide, una comune idiosincrasia verso le regole che discende dalla notte dei tempi e che sta nella precarietà ed estrema frammentazione dei legami sociali e territoriali, nell’ individualismo spesso esasperato, nell’arte millenaria di arrangiarsi, nella cultura familista e campanilista ecc... Io, la mia famiglia, il mio clan, la mia terra, al massimo la nazionale di calcio questa è la scansione dei valori sociali di riferimento ereditati per natura che contraddistinguono l’italianità. Lo stato sta in fondo a questa graduatoria.

Questa connotazione tipicamente italiana è ancor più esasperata oggi da un sistema valoriale, culturale ed economico che spinge l’individuo a cercare, ognuno per se, la sua realizzazione, il proprio stato nel mercato, nel profitto, nel capitale. Ma anche l’illusione collettiva che la globalizzazione liberista rende tutti liberi e felici sembra vacillare sotto i colpi di una crisi economica spaventosa che scopre tutti più fragili e disorientati. In questo contesto di grande confusione, disillusione collettiva, disgregazione sociale, insicurezza; dietro la colossale ingiustizia che la recessione si trascinerà certamente dietro, potrebbe crescere l’insidia dell’antistato o dell’altro stato su cui fonda la cultura mafiosa. Per questo oggi più che mai, in Italia, al sud a Mesagne bisogna riaffermare il primato dello stato, delle istituzioni democratiche, del bene pubblico sugli interessi pur legittimi dei singoli cittadini.

E’ questo il momento in cui bisogna rimarcare il valore della nostra Costituzione, il suo carattere fondativo e unificante, la sua connotazione profondamente democratica ed antifascista, il valore dei suoi ideali di riferimento: la pace, l’uguaglianza, la giustizia sociale, il lavoro. Ma non il lavoro precario, il lavoro flessibile, il lavoro interinale, il part-time, il lavoro mendicato e raccomandato, ma il lavoro sicuro quello che esalta la dignità dell’uomo, il lavoro che produce, il lavoro posto a servizio della collettività, il lavoro che garantisce condizioni decenti di vita a tutti. Oggi questo concetto sembra superato dalla storia e perciò subisce attacchi concentrici da giuslavoristi, da sindacalisti disposti a stracciare lo statuto dei lavoratori, da ministri sempre a caccia delle streghe. Ecco bisogna tornare a mettere al centro dell’agenda politica a qualunque livello la questione del lavoro.

Anche le istituzioni cittadine vanno tutelate, difese e rafforzate in tutte le sue articolazioni. Va difesa l’istituzione del sindaco che è positivamente mutata nel tempo ed oggi è certamente rappresenta la figura di maggior raccordo democratico fra i cittadini e lo stato. A Mesagne noi della sinistra abbiamo fatto la nostra parte, riconoscendo a pieno la legittimità della vittoria elettorale di Enzo Incalza. Abbiamo criticato il ricorso alla magistratura per inficiare il risultato elettorale, e vorremmo che fosse lui, e non chi è stato delegittimato dal votoi, a guidare il governo in carica..

Va difeso il Consiglio Comunale nella sua interezza e nell’esercizio delle sue funzioni. Specie in questo momento di forte tensione democratica. Un momento di netta e schiacciante supremazia del governo sugli gli organismi di rappresentanza dal Parlamento nazionale al Consiglio Comunale. Oggi che con i vari sbarramenti elettorali si tenta di espellere dalla partita istituzionale le minoranza e di strozzare il pluralismo. Apprezzo lo sforzo che il Presidente del Consiglio, spesso in splendida solitudine, va facendo in questa direzione contro il tentativo continuo della Giunta di esautorare nei fatti il consiglio comunale dalle sue legittime prerogative e funzioni. Questo non può che alimentare un clima di diffidenza e di scontro che non giova certo ne alla città ne alle istituzioni nel loro complesso.

Riaffermare il valore della politica come laboratorio di studio, di approfondimento, di conoscenza ove si costruiscono idee e progetti intorno ai quali preparare una prospettiva di miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini. La politica deve tornare ad essere cinghia di trasmissione fra il popolo e le istituzioni, non quel crogiolo di interessi di casta dove si costruiscono carriere e fortune individuali. Deve tornare ad essere strumento di mediazione delle tensioni sociali, per non lasciare spazio ad un altro modello di mediazione sociale che è quello fortemente accattivante che ruota intorno alla cultura mafiosa. La nostra città ha vissuto negli ultimi anni in un clima avvelenato da uno scontro che spesso non aveva niente di politico e che fondava sulla calunnia, sulla diffamazione, sulle lettere anonime, sulle indagini della magistratura.

Noi dobbiamo porre fine a questa fase che ha logorato complessivamente tutti, ha gettato discredito ulteriore sulla la politica. .Oggi, soprattutto noi, che abbiamo subito le conseguenze nefaste di quel clima, abbiamo il dovere di abbandonare questo terreno di scontro e ridare vigore alle ragioni della politica, ai contenuti, alle questioni che attengono alla vita quotidiana dei nostri cittadini senza l’acredine di chi sembra sempre avere un conto in sospeso con qualcuno.

Noi dobbiamo chiudere la porta alle nostre spalle e guardare avanti con spirito nuovo. Su quel recente passato c’è stato il giudizio politico che il popolo ha espresso con il suo voto è anche questo giudizio bisogna accettare senza remore come si accetta un rigore inesistente semplicemente perché l’arbitro lo ha fischiato. La sovranità democratica del popolo si misura sopratutto anche quando decreta sconfitta ingiusta.

Sul recente passato amministrativo è stata scritta, credo per intero, dalla magistratura una verità processuale che va altrettanto rispettata. C’è invece chi fra gli amministratori ed i politici minaccia costantemente di adire a questi percorsi per affermare una ragione che magari la evidenza dei fatti gli nega. Questo continuo scartabellare sui presunti scheletri nell’armadio, sugli errori commessi in passato dagli altri per mascherare le proprie inefficienze di oggi è un segno di evidente debolezza politica e di gravoso limite amministrativo. Ma quel che è più grave è che questo stillicidio di accuse e contraccuse alimenta un clima diffidenza della gente nei confronti della politica che spinge fuori dai percorsi di legalità.

L’etica della politica.

La politica ha un suo codice etico non scritto. Gli antichi filosofi greci, gli inventori della democrazia, dicevano che quando un uomo è chiamato ad incarichi di governo deve abbandonare la propria moglie ed i propri figli perché mai ci possa essere il sospetto che i suoi atti possano determinare anche indirettamente un beneficio ai suoi cari. Oggi è l’esatto contrario, non c’è un atto che politici ed amministratori non compiano senza che ve ne sia una evidente ricaduta sui propri averi, sulle propria famiglia, sul proprio elettorato o che in qualche modo non sia funzionale al rafforzamento del potere personale, di gruppo o di partito. E non basta essere in pace con la propria coscienza per aver svolto a fondo il proprio dovere morale di amministratore ma bisogna fare atti, compiere scelte talvolta impopolari, bisogna evocare il coraggio di dire no, quando si presentano occasioni che tentano, lusingano la naturale ambizione di ciascuno all’esercizio del potere.

Ebbene da questo punto di vista, il centro sinistra di Mesagne ha già dato, ha pagato il suo debito. Temo purtroppo che il cambiamento annunciato dal centro destra tardi a compiersi, anzi c’è una incessante escalation di fatti e atti amministrativi in cui si palesa con ogni evidenza il conflitto fra interesse pubblico ed interesse privato.

Questo è un brutto affare poiché non si può invocare il rigore morale, il rispetto della legge negli altri quando non si compie fino in fondo il proprio dovere. E quando le istituzioni indugiano nella concessione di privilegi piccoli o grandi, quando creano sperequazione, quando favoriscono direttamente interessi economici, quando alimentano lo scontro sociale la battaglia dei poveri allora compiono atti che non si discostano molto da quella che noi riconosciamo come appartenenti alla cultura mafiosa.

Cittadinanza attiva e partecipazione

Non ci sarebbe stato il riscatto, la emancipazione dalla violenza criminale se la città nelle sue varie espressioni non avesse reagito come reagì, assumendosi ognuno le proprie responsabilità, facendosi corpo unico con le istituzioni , ponendosi all’unisono dall’altra parte della barricata e segnando un limite di demarcazione, un discrimine finalmente netto con il malaffare. Non bisogna mai scordarsi del ruolo che ebbe una parte illuminata della chiesa nel segnalare per prima la pericolosità della minaccia mafiosa quando ancora le istituzioni comunali sembravano dormienti, quando gli stessi atti delinquenziali venivano sbrigativamente archiviati come ordinari episodi di uapparia Mai bisogna dimenticare il coraggio che dimostrò il nostro corpo produttivo che pur sotto scacco, pur esposto alla ritorsione criminale ebbe la forza di resistere, reagire e collaborare con gli inquirenti.

Mai scordarsi del ruolo che ebbero le nostre agenzie formative, le scuole, i centri sociali, le associazioni di volontariato nel porsi alla testa di un movimento che fu movimento di liberazione.

Oggi questo sistema è in crisi certamente per ragioni le ragioni di carattere generali cui si è accennato: per la destrutturazione dei rapporti sociali, per la crisi del sistema valoriale, la precarietà, l’insicurezza economica ecc. Ma anche per ragioni del tutto locali. Le amministrazioni del recente passato indubbiamente hanno avuto il grande merito di cogliere il valore della cittadinanza attiva, della partecipazione, ed hanno favorito l’organizzazione di una rete solidaristica molto forte nella nostra città. Forse però la politica è rimasta imbrigliata, appiccicata troppo a lungo a questa rete così da tarpare le ali fino ad inaridire una fonte che doveva ad un certo punto alimentarsi e rigenerarsi autonomamente. Così molti di quegli straordinari operatori sociali, tanti singoli cittadini sono tornati alle loro case e quelli che rimangono spesso mantengono nei confronti della politica un atteggiamento di sudditanza, di acquiescenza, una sorprendente capacità di adattarsi ai cambiamenti del potere di un potere che in verità sembra sempre meno sensibile al valore della partecipazione e sempre più sensibile al valore del consenso.

La crisi dunque del sistema istituzionale, della politica e della società aprono un orizzonte fosco che lascia poco spazio all’ottimismo. Tuttavia io sono fiducioso, confido nella capacità della politica di rigenerarsi e confido soprattutto nell’ indomabile senso civico di un popolo che ha una storia tanto grande e nobile che certamente saprà superare anche questo momento di difficoltà, ed anche questa notte passerà.

Mesagne, 5 febbraio 2009

dr. Pompeo Molfetta
Capogruppo A Sinistra \ Prc Mesagne

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