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mercoledì 8 dicembre 2010

Torniamo a spendere in città (di Pompeo Molfetta)

Torniamo a spendere in città

Nell’imminenza delle festività natalizie, attese come occasione preziosa per far risalire i consumi in un contesto di profonda crisi economica, si acuisce lo scontro fra grande distribuzione e commercio locale. Il nodo del contendere ancora una volta è rappresentato dalle chiusure domenicali ma la contesa e ben più profonda e radicale. E’ uno scontro che richiama l’immagine biblica di Davide contro Golia, soltanto che stavolta l’esito è opposto giacchè il nostro Davide non ha ne la fionda ne la pietra da scagliare ed il sole non accecherà il gigante.

A distanza di oltre un decennio dal suo insediamento gli esiti prodotti dalla grande distribuzione nel nostro territorio sono esattamente gli stessi che si determinano altrove. Vi è un impoverimento dell’intero bacino di utenza che affluisce al centro commerciale che si traduce nel drenaggio e nel trasloco di ingenti risorse proprie verso altri Paesi e verso altri obiettivi. Schianta il commercio locale e i consumatori arrivano a fine mese con le tasche vuote. Non un euro dei profitti e degli utili prodotti vengono reinvestiti per promuovere la città ospitante.

E’ in corso un cambiamento radicale nei comportamenti di consumo e nei modelli culturali indotti. La gente sembra aver perso la naturale propensione al risparmio ereditata dalla millenaria cultura contadina ed è entrata nella dimensione impersonale di consumatore universale sul palcoscenico del mercato globale. Si allentano le relazioni sociali, si smarriscono costumi e tradizioni, si vuotano le strade mentre la Galleria- Auchan diventa la nuova agorà, la piazza virtuale in cui però non fluisce il pensiero, il confronto delle idee, delle esperienze ma soltanto il denaro ormai governatore unico delle relazioni umane Anche l’aspetto considerato positivamente dai più cioè l’incremento del tasso di occupazione prodotto ha i suoi aspetti negativi perché sempre in questi casi il lavoro è funzionale al capitale. Spesso infatti si tratta di lavoro precario, subordinato, talvolta malpagato e altrettanto spesso viene usato come strumento di pressione e di ricatto per condizionare le pubbliche amministrazioni e corrompere la politica.

Tutto questo si compie in un quadro normativo che rende praticamente impotenti le amministrazioni locali anche quando, come nel nostro caso, hanno tentato di irreggimentare l’insediamento commerciale dentro un sistema convenzionale fatto di vincoli urbanistici ed economici che dovevano tutelare il commercio e le produzioni locali. Così non è stato, ne mai poteva essere, tanto era squilibrato il punto di partenza, tanta era la sproporzione dei poteri e delle forze in campo da falsare qualsiasi possibilità di competizione. Invertire oggi questo processo è impossibile ma non ci si può rassegnare ed ognuno di noi ha il dovere di fare qualcosa per cercare di porre argine a questa deriva.

L’amministrazione civica ha il dovere di riaffermare il suo ruolo di indirizzo e di controllo politico dei processi economici che investono la propria città e toccano gli interessi dei cittadini e lo deve fare utilizzando ogni forma e strumento, costituendosi virtualmente sempre come “ parte civile” al fianco dei suoi commercianti, dei suoi artigiani, dei suoi cittadini in tutte le vertenze che si apriranno. Nel caso di specie deve condizionare al massimo la chiusura domenicale del centro commerciale anche a costo di ricorrere in giudizio contro una eventuale sentenza avversa come ha fatto il sindaco Emiliano a Bari. Deve rivedere ed aggiornare i termini di una convenzione inopinatamente e integralmente prorogata nella passata legislatura. Deve sostenere, pur nelle more di un bilancio risicato, le nostre piccole e medie imprese, i nostri agricoltori, i nostri commercianti ed artigiani cercando di orientare le scelte nella direzione della zona industriale, del centro storico e del territorio rurale che restano le direttrici geografiche principali dello sviluppo che vogliamo.

Gli operatori economici locali debbono mettersi insieme, debbono abbandonare vittimismo, rivendicazioni di parte, logiche corporative e debbono, per quanto possibile, investire in tecnologia, innovazione e ricerca per cercare di strappare margini di competitività alla grande distribuzione magari dentro ipotesi di mercato alternativo che sfrutti le piccole reti intercomunali. I consumatori devono assumere la consapevolezza che la grande distribuzione non è quasi mai occasione di risparmio ma di spreco perché naturalmente predispone all’acquisto del superfluo. Per questo bisogna tornare a spendere in città a servizio della città, magari sfruttando le possibilità offerta dalla “filiera corta” , dei consumi a Km zero, dalle reti alternative dell’”altro consumo”che danno garanzia di qualità e di risparmio certo.

Credo si arrivato il tempo, dopo l’infatuazione degli anni trascorsi che contagiò anche noi, di riprendere in mano il nostro destino e di compiere uno sforzo corale anche per cercare di recuperare almeno quel senso di comunità che rischiamo di perdere ogni giorno.

Mesagne, 07 dicembre 2010

Pompeo Molfetta – Capogruppo Sinistra Unita Mesagne





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