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giovedì 13 agosto 2009

L'INCHIESTA DI BARI E LA REAZIONE DI VENDOLA

L’inchiesta di Bari e la reazione di Vendola

L’inchiesta della Procura della Repubblica di Bari, con i suoi diversi filoni d’indagine, è senza dubbio un prezioso contributo alla moralizzazione della vita pubblica. In un Paese nel quale la “questione morale”, sollevata da Enrico Berlinguer nel 1981, inquina ancora la politica nostrana (anche dopo la stagione di “mani pulite”) la magistratura va sostenuta, contro certe interessate o preconcette ostilità, nell’impegno rivolto a fare chiarezza su inquietanti vicende, ad accertare precise responsabilità personali ed a ripristinare la legalità. Un lavoro che i magistrati devono fare con serena obiettività ricordando sempre che la giustizia, come vuole il nostro Statuto, è amministrata in tutte le fasi processuali in nome del popolo italiano e che i giudici sono soggetti soltanto alla legge. Un dettato costituzionale inteso a mettere tutti i magistrati, quelli investiti di funzioni giudicanti come quelli impegnati in funzioni inquirenti, al riparo non solo da condizionamenti esterni ma anche dall’insidia di inclinazioni personali per il protagonismo, le tentazioni partigiane, l’assolutizzazione della propria tesi o gli eccessi di orgoglio professionale.
L’inchiesta di Bari punta ad accertare eventuali responsabilità per reati in materia di prostituzione che sembrano toccare o in qualche modo lambire personaggi politici di primo piano nonché per illeciti attribuiti ad amministratori e funzionari nella gestione del Servizio Sanitario a livello regionale. Si tratta di indagini su fatti di grande rilievo sociale e di forte impatto mediatico che possono, come sta accadendo, essere utilizzati in modo strumentale nella lotta politica specialmente quando l’attività investigativa si svolge con grande clamore in tempi vicini ad importanti scadenze elettorali. Siamo quindi di fronte ad un inchiesta che, per l’uso politico che se ne sta facendo, può incidere sulla selezione delle candidature e sugli umori dell’elettorato alterando l’esito della consultazione elettorale .
Ed allora più che giustificata si appalesa la reazione di Vendola che, senza essere in alcun modo personalmente coinvolto nell’inchiesta, diviene vittima di uno “tsunami” di censure, illazioni, denigrazioni ed attacchi tesi ad offuscare la sua immagine ed a colpire il centro-sinistra. Quali che possono essere le opinioni sulle “anomalie” che con la recente lettera al PM Digironimo il Presidente della Regione ritiene di riscontrare nell’inchiesta, è innegabile il fatto che egli sta subendo un vero e proprio linciaggio morale venendosi a trovare in concreto privo di tutele nei confronti di chi, nell’opposto schieramento e forse anche in qualche area meno lontana, vuole impedire la sua ricandidatura, tuttora forte di consensi e prevedibilmente vincente, per bloccare quella “rivoluzione gentile” da lui e dalla sua maggioranza portata avanti tra mille difficoltà e contro ostilità e condizionamenti. Quella di Vendola è davvero una “legittima difesa” non certo contro il magistrato, al quale è stata da lui assicurata e fornita la massima collaborazione, ma nei confronti di un insieme di fattori (le caratteristiche e le modalità dell’inchiesta che sembra arenarsi su un’eterna fase di avvio, taluni accertamenti a tappeto alla ricerca di notizie di reato, il susseguirsi di continui ampliamenti dell’indagine, le amplificazioni mediatiche, le strumentalizzazioni politiche) che oggettivamente concorrono a favorire una campagna denigratoria in danno del Presidente della Regione ed a stravolgere il normale corso della competizione politica.
Una situazione che va quindi affrontata nel pieno rispetto dell’autonomia della Magistratura senza fornire occasioni che potrebbero agevolare ulteriori speculazioni e qualche vittimismo. La via maestra è quella di vigilare perché l’inchiesta si svolga nella piena osservanza delle regole procedurali e di chiedere che il PM interessato, operati ovviamente tutti i necessari approfondimenti, porti a termine nel più breve tempo possibile le indagini in corso, favorito anche dal potenziamento – se necessario – del suo ufficio con collaborazioni e supporti operativi. Una pretesa più che legittima come legittima, corretta e rispettosa è stata la critica di Vendola all’operato del magistrato inquirente al quale non è dato capire quali tutele potrebbe assicurare il Csm a fronte di osservazioni che costituiscono una libera manifestazione del pensiero tutelata dall’art. 21 della Costituzione.
Si è avuto di recente notizia di intercettazioni telefoniche nelle quali si parlava allegramente di protesi ortopediche “fetenti”. Intercettazioni che erano a disposizione dell’autorità giudiziaria sin dal 2002 ma che, per quanto è dato conoscere, non hanno dato luogo a provvedimenti intesi ad impedire che, come prescrive la legge, le riscontrate attività criminose venissero portate a conseguenze ulteriori col rischio che l’utilizzo di quelle protesi si sia protratto a lungo con grave danno per gli ammalati. Tempi quindi assai dilatati per fare chiarezza in una materia così delicata che non vorremmo fossero anche il destino dell’inchiesta che ha provocato la reazione di Vendola.

Brindisi, 11 agosto 2009
Michele Di Schiena

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