LE INTERCETTAZIONI E LA “QUESTIONE MORALE”
Una Repubblica non «fondata sul lavoro», come vuole il primo articolo della Costituzione, ma fondata sulla raccomandazione, sulle pressioni indebite, sulle manovre rivolte ad alterare i rapporti politici per determinare la caduta dell’avverso governo, una Repubblica insomma largamente segnata da comportamenti che offendono la «pari dignità sociale dei cittadini» sancita dall’art. 3 dello Statuto ed attraversata da privilegi e discriminazioni che la stessa norma vieta in forza del principio di uguaglianza: questo è quanto viene amaramente confermato dal servizio del settimanale “L’espresso” sulle intercettazioni della Procura della Repubblica di Napoli. Un servizio dal quale emerge che i pubblici ministeri hanno chiesto il rinvio a giudizio di Berlusconi non perché raccomandava alcune attrici ma perché lo scorso anno «nella sua duplice veste di leader politico e di maggiore imprenditore italiano del settore televisivo, prometteva al direttore Rai-fiction il sostegno economico alle iniziative private che Saccà si apprestava ad intraprendere». Di Pietro dice che l’allora aspirante premier avrebbe fatto «un lavoro più da magnaccia, per piazzare questa o quella velina, che da statista», qualificati esponenti della destra reagiscono evocando fantomatici disegni eversivi di ambienti giustizialisti, annunciando azioni giudiziarie, definendo il leader dell’Italia dei Valori un noto frequentatore a scrocco di garconnière ed un analfabeta persino con falsa licenza elementare ed inondando i mezzi di informazione di altre simili “finezze” compresa quella di Bossi per il quale «meglio uno di destra che va con donne di quelli di sinistra che vanno con culattoni».
Uno scenario indegno che dà la misura della crisi politica e morale nella quale sta sprofondando il Paese, un deprimente spettacolo al quale si sottrae la dichiarazione del capogruppo dei senatori del Partito Democratico Anna Finocchiaro che giustamente prende le distanze dalla pesantezza del linguaggio (non dall’asprezza della critica) di Di Pietro aggiungendo che dalle intercettazioni è venuto fuori un mondo che «colpisce per il degrado e per il ruolo affidato alle figure femminili». Ma la Finocchiaro ed altri esponenti del PD non sembra vadano al centro del problema ancora una volta messo a nudo dalle intercettazioni e cioè il desolante riproporsi della questione morale. Una questione che sta mettendo in ginocchio la credibilità delle istituzioni e che chiama in causa provvedimenti costituzionalmente illegittimi, leggi “ad personam” e, più in generale, i comportamenti di una variegata “casta” che mette arbitrariamente le mani su tutti i centri decisionali della vita civile e su tutte le formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità dei cittadini. Le intercettazioni, è vero, non devono diventare un’arma da utilizzare nella lotta politica ma gridare allo scandalo per il loro uso improprio sorvolando sulla gravità degli andazzi che mettono in luce, significa guardare la “pagliuzza” nell’occhio altrui e non la “trave” nel proprio.
«I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le istituzioni a partire dal Governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali»: sembra la fotografia della situazione attuale ma si tratta del grido di allarme per la “questione morale” che Enrico Berlinguer lanciava in una intervista del 28 luglio 1981. Ed al giornalista che gli chiedeva perché i cittadini non avvertivano la gravità del fenomeno, il leader del PCI così rispondeva: «molti italiani, secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano di riceverne o temono di non riceverne più». Parole queste che vanno oggi meditate e rilanciate a fronte del dilagare di una concezione proprietaria della gestione della cosa pubblica e di quel “familismo amorale” per il quale gli interessi del parente, dell’amico, del servizievole factotum, del “compare” di partito o di congrega vengono prima delle più elementari esigenze di giustizia e delle finalità proprie delle istituzioni.
Quando agli addebiti si risponde con le minacce, quando alle critiche si reagisce con la “carta bollata”, quando specifici rilievi vengono elusi con strumentali diversivi, quando per giustificare deprecabili comportamenti si ritorcono le accuse, quando tutto ciò avviene la “questione morale” finisce per coincidere con la “questione politica”, una questione che esige, contro quanto sta accadendo, un forte rilancio della moralità costituzionale e cioè delle direttrici etiche di quello Statuto per il quale le funzioni pubbliche vanno adempiute «con disciplina ed onore» e gli uffici pubblici devono essere organizzati «in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione».
Brindisi, 30 giugno 2008
Michele DI SCHIENA
mercoledì 2 luglio 2008
LE INTERCETTAZIONI E LA QUESTIONE MORALE
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