ACQUE CHIARE: A QUANDO L’EPILOGO?
La questione del cosiddetto polo turistico integrato di “Acque Chiare” tarda ad avere sbocchi risolutivi. Eppure sarebbe bene accelerare possibilmente i tempi del suo epilogo per evitare il diffondersi del sospetto, per quanto possa essere ingeneroso ed infondato, che il ripristino della legalità sia lento e faticoso quando sono in contestazione interessi di chi appartiene alla cosiddetta classe dirigente mentre risulti spedito ed agevole in presenza di censure in danno di “poveri diavoli”. E sì, perché nel caso di “Acque Chiare” è facile il confronto fra la lentezza che sembra caratterizzare gli sviluppi di questa vicenda e la rapidità con la quale, una volta accertate le responsabilità, sono state abbattute (e poi lasciate lì a dare miserevole spettacolo del loro abbandono) casupole e baracche abusive che sorgevano proprio nelle adiacenze dell’area in questione.
La storia di “Acque Chiare” è nota. Nulla era stato rilevato fino a quando ci furono alcune segnalazioni che motivatamente chiedevano accertamenti sulla regolarità delle procedure seguite. Il Sindaco Mennitti affrontò la vicenda e rese poi nota una ponderata e responsabile relazione, segnata tuttavia da molti punti interrogativi che inducevano il primo cittadino a disporre l’espletamento di una consulenza per l’acquisizione di un qualificato “parere tecnico-legale”. Il parere fu dato e confermò la sussistenza di gravi irregolarità nel procedimento amministrativo. Come era prevedibile, esso mise in risalto la questione centrale della vicenda e cioè quella della “destinazione d’uso” dell’intero complesso. Risultò infatti che non erano stati realizzati “gli impianti di tipo ricettivo alberghiero (l’albergo composto di 230 camere e relativi servizi e da nuclei di tipo residenziale e servizi comuni)”. Ed al riguardo non può sfuggire che la convenzione non parlava di nuclei residenziali ma di “tipo residenziale”, menzionandoli appunto tra parentesi come specificazioni degli “impianti di tipo ricettivo alberghiero”. Era allora evidente che quei “nuclei” (le odierne ville e villette vendute a privati) dovevano essere realizzati, mentre in realtà non lo furono, in modo da corrispondere alle indicate finalità ricettivo-alberghiere e dovevano essere adibiti a tale servizio con l’intento di dare un forte impulso al turismo con le ricadute di sviluppo e di occupazione che una tale scelta doveva comportare.
Ma nella procedura sono riscontrabili molte altre irregolarità che occorre tenere nel debito conto. E fra queste è utile ricordare il mancato adempimento della prescrizione, contenuta nell’o.d.g. approvato dal Consiglio comunale con Delibera 112/99, di realizzare “complessivamente e contestualmente” quanto previsto dal polo turistico integrato nonché l’impegno, sancito nello stesso o.d.g., di “mantenere immutata la destinazione d’uso degli immobili (n.d.r. tutti) del polo turistico integrato per almeno dieci anni fino ad ulteriori eventuali varianti degli strumenti urbanistici”. Impegno questo non intaccato dal nuovo testo dell’art. 9 della convenzione il quale, a prescindere da ogni valutazione sul suo contrasto col citato o.d.g., si riferiva esclusivamente al divieto di alienazione delle singole unità immobiliari e non alla loro destinazione d’uso che – giova ribadirlo – non poteva essere mutata per almeno dieci anni dall’avvio dell’attività turistica che non c’è mai stata.
E’ in corso, è vero, una inchiesta penale per gettare nuova luce sulla vicenda ma l’indagine amministrativa ha la sua autonomia ed è giusto che essa sia quanto prima portata a termine. Sulla questione centrale e sugli altri problemi cui si è fatto rapido cenno è auspicabile che l’Amministrazione comunale si pronunci il più presto possibile perché sono in gioco rilevanti interessi di una comunità che ha il diritto di sapere come sono andate le cose, se vi sono responsabilità amministrative, se sono stati arrecati danni e se sono dovuti risarcimenti. Un’ultima annotazione appare necessaria per rilevare l’inaccettabilità dell’opinione secondo la quale non si dovrebbero bloccare, in una città che ne ha vitale bisogno, progetti di utile sviluppo. Un discorso questo che sembra prendere in considerazione non l’utilità collettiva ma solo quella di interessi particolari e che soprattutto non tiene conto di quanto sia diseducativo ed asociale caldeggiare pretese utilità che appaiono in aperto contrasto con norme di legge e solenni pattuizioni fra enti pubblici. Così come è artificioso e fuorviante ergersi a difesa degli interessi di coloro che hanno acquistato in buona fede gli immobili contrapponendosi a quanti hanno chiesto lumi sulla regolarità della disinvolta operazione. Gli interessi di questi acquirenti sono giusti, anzi giustissimi, ma essi vanno tutelati non certo violando o eludendo la legge che invece va rigorosamente applicata per garantire il buon andamento dell’attività amministrativa e per assicurare ai danneggiati i doverosi risarcimenti.
Brindisi, 12 marzo 2008
Michele DI SCHIENA
giovedì 13 marzo 2008
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