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martedì 11 marzo 2008

BASTA UN POCO DI ZUCCHERO (di Ghino di Tacco)

Mi perdonerete per il titolo poco originale, preso in prestito dalla trasmissione “Annozero” di giovedì, ma non è mia intenzione dire delle vittime e della sicurezza sul lavoro (c’è già tanta gente che ha espresso la propria opinione, spesso a sproposito e in maniera retorica, senza proporre adeguate soluzioni), vorrei piuttosto parlare delle proposte di sviluppo dell’economia locale e proprio di … zucchero.

Qualche mese fa, in pompa magna, fu presentato il protocollo di intesa tra la S.F.I.R. e la Provincia di Brindisi nella persona del Presidente Michele Errico, per la realizzazione a Brindisi di uno zuccherificio, che secondo le previsioni avrebbe prodotto centinaia di posti di lavoro diretti e indiretti.

Devo dire che non riuscivo a comprendere perché realizzare tale impianto, soprattutto a seguito della decisione dell’U.E. di ridurre del 30% le quote di produzione di questo alimento e che ha creato disoccupazione per circa 77.000 operatori del settore in Italia e tantissime polemiche sull’ennesima imposizione di Bruxelles nel segmento dell’agro-alimentare, infatti sono in corso di smantellamento gli impianti di Forlimpopoli, Pontelagoscuro e Foggia da parte del gruppo industriale romagnolo, che nel frattempo, prima ancora di avviare i lavori di realizzazione del nuovo stabilimento, ha sponsorizzato con il suo marchio “nota dolce” i telegiornali di una nota emittente televisiva locale. Coincidenze.

A causa della mia pigrizia avevo omesso di cercare e leggere questo protocollo d’intesa.
Cominciata la campagna elettorale per la nostra Città, tra le solite polemiche sulla pista ciclabile, lo Stadio comunale che cade giù a pezzi per il vento e le giuste richieste di lapidazione e impalamento per i responsabili di questi misfatti, le processioni religiose con gli esponenti politici impomatati in prima fila al fine di accattivarsi l’elettorato cattolico, finalmente, qualcuno ha anche parlato di programmi e di sviluppo, e con grande sorpresa ho saputo che il rilancio di Mesagne passa per … l’agricoltura.

Dopo essermi ripreso dallo sgomento iniziale (non credevo che nella nostra Città ci fossero queste menti illuminate) ho anche letto le loro proposte, terribilmente uguali e coincidenti da sinistra estrema al centro destra, passando per il “nuovo” PD: c’è chi sostiene che il rilancio dell’economia cittadina passi per lo sviluppo delle fonti di energia rinnovabili, come unica possibilità di crescita della nostra agricoltura; c’è chi dice che bisogna puntare su eolico, solare e biomasse, occasione di ricchezza anche per i nostri agricoltori; c’è chi organizza da anni convegni per spiegare che produrre colza o coltivare girasole, piantare nei nostri campi enormi pale che volteggiano soavemente sospinti dal vento come girandole post-moderne o riempirli di schiere di pannelli fotovoltaici simmetrici e regolari come vitigni alieni, bruciare la sansa e i rifiuti in appositi termovalorizzatori e in ossequio alle istruzioni del proprio leader nazionale, realizzare una bella centrale nucleare rigorosamente privata è il futuro dell’economia, e avremo così tanti di quei kilowatt da poterci folgorare tutti allegramente.

Mentre si rilasciano le prime concessioni (a Mesagne si realizzerà a breve un parco eolico denominato “S. Antonio”) e si legge sugli annunci immobiliari che ci sono società operanti nel settore energetico interessate a prendere in fitto trentennale svariati ettari di terreno, i nostri onorevolissimi esponenti politici che ben hanno contribuito allo sviluppo economico della provincia di Brindisi, nel Paese del conflitto d’interessi, diventano soci in affari e costituiscono la propria impresa operante in questo campo apprestandosi a realizzare nuovi “parchi” (come è dolce e ambientalista questa parola, quasi come la parola zucchero?), concedendosi anche le previste autorizzazioni per la loro realizzazione (poverini, sono costretti a fare tutto da soli!).
Questa corsa sfrenata all’energia pulita appare come un colossale business a cui tutti vogliono partecipare e che ha una motivazione legislativa: L’U.E., nel chiuso dei suoi studi di “ingegneria economica”, ha stabilito che il 5,75% dell’energia consumata nel vecchio continente deve provenire da fonti rinnovabili o alternative, e ha previsto per esse accise più basse così da rendere conveniente tale produzione altrimenti antieconomica.

Inoltre sono previsti finanziamenti comunitari per la realizzazione di queste centrali, compresi fra il 40 e il 60% a copertura dell’intero costo dell’opera, inseriti nei famosi fondi per lo sviluppo 2007-2013, che la Lista Incalza, sempre sensibile a queste tematiche, ha individuato come priorità per la nostra Area Vasta.
Come dire: finanziamenti pubblici per fini esclusivamente privati.
Tuttavia, non riuscivo a comprendere come i nostri politici avrebbero fatto accettare al territorio l’ennesima centrale elettrica anche se alimentata a combustibile naturale: la risposta è semplice, cioè chiamandola… zuccherificio, e prospettando un adeguato sbocco occupazionale.
Il Presidente Errico, infatti, ha discusso e firmato insieme al Ministro De Castro un protocollo d’intesa in cui si concede alla S.F.I.R. la possibilità di realizzare un cogeneratore ibrido alimentato a biomasse, oli vegetali e udite, udite…a gas naturale liquefatto, che rappresenta a tutti gli effetti una centrale elettrica con discrete emissioni inquinanti e che spiana la strada definitivamente alla realizzazione del rigassificatore della Brindisi LNG, benché l’integerrimo notaio ne sia stato uno strenuo oppositore.

Non vorrei annoiare nessuno dicendo che una sostituzione massiccia dell’agricoltura tradizionale e diversificata con queste nuove “produzioni” e monocolture sarebbe un disastro economico, ambientale e occupazionale, qualunque essere umano dotato di ragione sarebbe in grado di comprenderne i motivi, anche in considerazione del fatto che per raggiungere il 5,75% del fabbisogno energetico nazionale, proveniente da queste fonti occorrerebbe la disponibilità di “oltre un milione di ettari il che probabilmente creerebbe distorsioni quanto alla competizione food-non food” (non lo sostengo io, lo dice Riccardo Deserti, capo della Segreteria tecnica del Ministero politiche agricole, alimentari e forestali, uno che De Castro lo conosce bene!).
Chi fermerà il futuro? Un mio caro amico ingegnere mi ha detto che ci siamo abituati ai tralicci dell’alta tensione, ai vecchi fili sospesi dei telefoni e ai ripetitori della telefonia mobile, ci abitueremo, parimenti, a vedere le nostre campagne puntellate di impianti eolici e fotovoltaici come nell’improbabile mondo dei Teletubbies.
Ma prima di rincoglionire come i quattro personaggi della BBC e arrivare ad interagire con conigli transgenici e fiori fluorescenti, nonostante i continui messaggi distorti e i disvalori che la società odierna ci propina, noi cittadini abbiamo il dovere di fermare questa deriva, perché il problema energetico è importante, ma il nostro territorio ha già dato e le “ricadute positive sulla collettività”, che si propongono ogni volta che c’è da fare una nuova centrale, sono coincise con la diffusione di tumori, con l’aumento della disoccupazione e la crescita del costo della bolletta.

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