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mercoledì 27 agosto 2008

L'EGEMONIA BERLUSCONIANA

L’egemonia berlusconiana ed il letargo dell’opposizione in una società frantumata
Un agosto di denunce e di lamenti nei quartieri alti del centrosinistra riformista: Nanni Moretti che accusa l’opposizione di essere in parte autodistruttiva ed in parte in letargo dentro una realtà segnata dall’«inesistenza di una vera opinione pubblica»; Eugenio Scalfari che vede una pluralità di opinioni pubbliche con eterogenei contenuti ed una sinistra riformista ridotta, dopo la sconfitta elettorale, «ad uno stato larvale» ed incapace di esprimere «un pensiero unitario ed egemone autorevole, percorsa da convinzioni forti ma contrastanti»; Walter Veltroni che individua la vera epidemia del nostro tempo nella «perdita della memoria» con il rifiuto della passione per il futuro e sottolinea l’esigenza dell’ «alternatività di valori e di progetti sociali che rendano differenti gli schieramenti e le culture politiche»;il presidente del Censis Giuseppe De Rita che, rifacendosi all’analisi del rapporto da lui firmato alla fine dello scorso anno, ripropone l’immagine di una «mucillagine sociale» come «figlia di un’opinione pubblica che può anche avere un’opinione comune ma che non si integra, non fa sistema».
E’ vero, viviamo in una società frantumata, vuota di valori e priva di un orientamento collettivo, segnata dall’anomalia Berlusconi e dal suo strapotere mediatico che alimenta il suo potere politico. Occorre però chiedersi se quanto sta accadendo in Italia non sia la manifestazione più eclatante di una crisi che travaglia, sia pure con modalità diverse, tutte le democrazie occidentali e se questa perdita di valori, di coesione sociale e di visione del bene comune non abbia una causa ben più profonda di quelle, pur incidenti, costituite dall’egemonia televisiva del premier e dagli errori tattici di un riformismo spaventato e confuso. Uno sguardo a quanto avviene sullo scenario internazionale ci dice che la riscontrata malattia, gravissima da noi per le complicazioni berlusconiane, affligge tutto l’Occidente e diffonde i suoi virus nell’intero pianeta. Si tratta di un dilagante “pensiero unico” che è alla base di quel capitalismo iperliberista che domina il mondo, un capitalismo culturalmente rozzo e socialmente rovinoso che, nella versione italiana, presenta i caratteri peggiorativi del “partito-azienda” e del conflitto di interessi.
Un capitalismo selvaggio che ha sostituito il capitalismo “controllato” il quale, dopo l’ultimo conflitto mondiale e fino agli inizi degli anni ’80, aveva cercato di indirizzare la libera iniziativa privata verso fini sociali ed aveva posto alcuni limiti alla proprietà privata per renderla in qualche modo funzionale agli interessi generali della collettività. Questo turbocapitalismo negli ultimi decenni ha abbattuto ogni serio controllo rivolto a regolare le attività economiche procurando così l’accrescimento della ricchezza dei ricchi e della povertà dei poveri ed aggredendo e devastando l’ambiente. L’avvento dell’egemonia liberista ha fatto in modo che la politica si rivoltasse contro se stessa riducendo i suoi poteri d’intervento nella vita economica e dilatandoli al massimo nei settori dell’ “ordine interno” con l’inasprimento delle misure repressive contro i più deboli e dell’ “ordine internazionale” con i condizionamenti economici e le operazioni belliche. Una attenta analista della globalizzazione neoliberista, Giuliana Martirani, ha in un suo libro richiamato l’attenzione sull’immagine del mondo rapportata ad un villaggio di 100 persone: una persona starebbe per nascere ed una per morire, 57 sarebbero donne, 70 non bianchi, 70 non cristiani, 80 vivrebbero in case al di sotto dello standard, 70 non saprebbero leggere, 50 soffrirebbero la malnutrizione, solo una persona andrebbe all’università e solo una avrebbe un computer mentre 6 persone controllerebbero l’intera ricchezza mondiale e sarebbero americane. Uno scenario che la dice lunga sull’enormità degli squilibri e delle ingiustizie che affliggono il mondo.
Siamo quindi di fronte ad una politica economica e sociale che è, al tempo stesso, madre e figlia di una cultura che esalta l’individualismo, frantuma la società, semina illusioni, mortifica la solidarietà, frastorna le intelligenze, fiacca le coscienze, spegne le speranze ed imbriglia ogni moto di ribellione e di riscatto. E’ insomma la versione aggiornata e perfezionata di quella logica all’insegna del motto “panem” (in verità sempre di meno per i non privilegiati) “et circenses” (purtroppo sempre di più con l’utilizzo dei poderosi strumenti mediatici) con la quale l’ormai decadente impero romano controllava un popolo ridotto a vivere, come oggi il nostro, di modesti consumi e di suggestionanti spettacoli. L’augurio è allora che l’intellighenzia riformista, giustamente preoccupata per le sorti del Paese ed impegnata con qualche sfoggio di finezze culturali in un confronto sulle note che caratterizzerebbero l’attuale situazione (inesistenza di una pubblica opinione, una pluralità di pubbliche opinioni in crisi, perdita della memoria, mucillaggine sociale), spinga la sua riflessione oltre la diagnosi, sulla quale c’è una sostanziale concordia al suo interno e fuori di essa. E lo faccia per verificare se la causa fondamentale della crisi non sia rinvenibile proprio nell’accettazione del neoliberismo con l’illusione riformista di poterlo umanizzare e per dare corpo ad una politica davvero alternativa con l’intento di puntare realisticamente e gradatamente al superamento dell’attuale sistema. Un impegno per affrontare il quale non è certo necessario rispolverare, come in certi ambiti della sinistra radicale si ha la tentazione di fare, un veterocomunismo fuori della realtà e senza futuro perché basta ispirarsi alla nostra Costituzione, ai suoi principi fondamentali ed alle sue direttive in materia di politica economica e sociale.

Brindisi, 25 agosto 2008
Michele DI SCHIENA

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