A don Saverio
Se ne stava li, nella sua ultima dimora, con una specie di sorriso spento sul volto di cera sotto il cappello da prete. Immobile con le nocche delle dita incrociate sulla sua tunica da prete, con le sue grandi scarpe nere lucide piantate verso il cielo. Nell’ora della tua morte ti giunga, caro don Saverio, l’abbraccio affettuoso delle mille “fiamme bianche, gialle e rosse” che sono cresciute all’ombra della tua veste, sotto la clemenza delle tue carezze e la bonaria severità dei tuoi rimbrotti.
La tua morte come la tua vita appartiene a questo popolo, alla sua storia, alla memoria di una stagione bella e generosa, di un tempo che fu gravido di grandi ideali e di belle speranze in un Italia che risaliva faticosamente la china del dopoguerra per poi tuffarsi negli anni del boom. Io per te ero Asdrubale o forse Menelao, un cucciolo di uomo con le caccole al naso, che si guadagnava l’onore di servire la messa da primo chierichetto nelle gelide mattine del novembre dei morti. Anche oggi, come allora, sento l’odore acre d’incenso intorno al catafalco posto ai piedi dell’altare nel silenzio della commozione e della contemplazione.
Un abbraccio ti giunga dai mille “aspiranti” passati per il Centro Sportivo Italiano come la piena che dilaga verso il mare. Per quelle domeniche alla Messa, con la parola di Dio offerta come una fiaba meravigliosa prima di correre al campo a tifare “Santa Maria; a tifare per quella squadra gloriosa che per ingraziarsi la “Provvidenza” schierava nella linea difensiva i terzini Agnello – Di Dio. Un abbraccio ti giunga per parte dei mille e mille ragazzi di strada che, per non sapere dove andare in tempo di magra e di miseria, hanno consumato il tempo più prezioso nel gioco dei saloni parrocchiali con le racchette di ping-pong tante volte rotte e tante volte pazientemente ricostruite dal legno. Per il mistero di quello straordinario Cristo Risorto che, nella notte della Risurrezione si levava nel frastuono di tric-e-trac da un marchingegno arcano fra lo stupore dei nostri occhi e dei nostri cuori ingenui.
Per le indimenticabili gite di pasquetta a cercare chiese rupestri, ad intrecciare canzoni e giovani amori fra le discese ardite e le risalite di Anacapri, Pugnochiuso, S.Giovanni Rotondo. Per la generosità e la cura con cui hai coltivato la nostra infanzia, la nostra adolescenza, per le adunanze spirituali, per la missione educativa, per la dottrina sociale della Chiesa, per essere stato prete, prete di parrocchia senz’altra digressione, uomo di Dio e della Chiesa senz’altra missione che non fosse d’amore e di carità per la tua gente, per i più piccoli ed i più poveri. Con gratitudine
Mesagne, 1 marzo 2009
Pompeo MOLFETTA
domenica 1 marzo 2009
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